serie tv consigliate

Ogni anno le piattaforme streaming si arricchiscono con ogni tipo di storia. Tra adattamenti, sceneggiature originali e nuove stagioni, la nostra voglia di serie tv è largamente accontentata. Basta accedere a qualsiasi piattaforma streaming o servizio on demand per avere l’imbarazzo della scelta.

Dalle serie di tendenza del momento fino a quelle con un cast stellare, decidere cosa vedere può non essere così semplice. Ecco, quindi, le serie tv consigliate da Filmpost.it. Una selezione in cui potete trovare tutto quello che vale la pena recuperare in questo 2021. Da Anna a Omicidio a Easttown, da Squid Game a Ted Lasso, abbiamo raggruppato tutte le uscite migliori dell’anno. Con un’attenzione anche agli show non ancora arrivati in Italia, ma per cui vale la pena aspettare.

Anna

Con Anna, Niccolò Ammaniti firma un racconto di formazione che mancava nel panorama italiano. Lo scrittore – che in questo caso veste anche i panni dello sceneggiatore e del regista di tutti e sei gli episodi – ci fa immergere in una storia dai contorni distopici e surreali. La serie è ambientata in Sicilia, quattro anni dopo che un’epidemia ha colpito la maggior parte della popolazione. La malattia, chiamata La Rossa, infetta solo adulti e ragazzi che hanno passato l’età della pubertà.

Gli unici immuni sono i bambini che, per sopravvivere, si riuniscono in gruppi in cui vige la regola del più forte. Anna e il piccolo Astor si ritrovano ad affrontare il mondo da soli dopo la morte della madre. Un mondo in cui le leggi sociali sono alterate. In cui il caos è l’unico elemento costante assieme alla lotta per la sopravvivenza. Un racconto lucido e crudele, ma anche una storia di formazione e crescita. Un equilibrio che si gioca su una solida sceneggiatura e un’estetica fiabesca estremamente curata.

Foundation

Il 2021 è l’anno in cui lo sci-fi si riappropria dei suoi meritati spazi, lontani da tecniche commerciali fini a se stesse. Densi, invece, di filosofia, di sociologia e di discorsi basati su antropologia e sulla società. Discorsi che possono essere affrontati negli anni 50 come nell’epoca contemporanea. Sono questi i presupposti di Foundation, l’ambizioso progetto di Apple Tv+ che porta sul piccolo schermo uno dei capolavori della fantascienza moderna. Scritto da Isaac Asimov agli inizi degli anni Cinquanta e concluso nel ’93, Il ciclo delle fondazioni è uno dei capisaldi della letteratura fantascientifica. Una saga stratificata di contenuti, significati e un intero universo narrativo trascritto nei minimi dettagli. Protagonista di Foundation è Hari Seldon (Jared Harris), il matematico dell’impero che, tramite dei complessi calcoli, è venuto a conoscenza di una catastrofe imminente che trascinerà l’impero in 300.000 anni di lotte.

La soluzione, secondo Seldon, è quella di creare un’enciclopedia galattica che pone le basi per creare una società migliore, così da scongiurare una lunga guerra. Così come Dune, anche Foundation presenta molteplici difficoltà nell’essere adattato adeguatamente. Il rischio è quello di svuotare la narrazione dai suoi contenuti e di trattare la stratificata critica sociale in modo superficiale. Un errore in cui Goyer non cade. L’ottima sinergia tra regia, una fotografia eccellente e una sceneggiatura che si focalizza su personaggi ed avvenimenti fanno della serie una piccola perla che vale la pena recuperare.

It’s a Sin

The boys about AIDS in the 1980s era il titolo provvisorio di It’s a Sin che spiega in poche parole la natura della miniserie creata da Russell T. Davies e disponibile in Italia su Starzplay. Ritchie, Roscoe e Colin si trasferiscono dalle loro rispettive case dislocate per andare a Londra, dove avviene il loro incontro. Siamo negli anni in cui la comunità gay è in pieno fermento grazie ai moti rivoluzionari di fine anni Sessanta. Quella di Davies è una ricostruizione storica accurata di cosa volesse dire essere gay negli anni Ottanta. Un decennio che è stato scalfito da un’epidemia di AIDS. Una malattia additata come una punizione divina, sottovalutata e su cui sono nati molteplici falsi miti attorno.

Le credenze su chi colpisse la malattia e su come venisse trasmessa non hanno risparmiato proprio nessuno: sono cresciute e proliferate nelle case, attraverso i media ma anche nello stesso sistema sanitario. Scappati da famiglie borghesi e bigotte, i protagonisti si ritrovano a fare i conti con qualcosa di più grande di loro. La differenza generazionale, il lutto, la malattia sono i temi maggiormente toccati da Davies in una miniserie di sole cinque puntate che non ha ricevuto l’attenzione che merita.

Loki

Dall’annuncio della nuova piattaforma Disney Plus, Loki è stato il primo progetto in cantiere ad essere svelato. Una serie dedicata esclusivamente al Dio dell’inganno interpretato da dieci anni da Tom Hiddleston. Dopo tre film dove Loki era relegato a personaggio secondario, la notizia su un progetto che lo vedeva come protagonista ha scaldato gli animi e creato alte aspettative. Soprattutto dopo il successo e la buona riuscita delle due serie Marvel precedenti, WandaVision e The Falcon and The Winter Soldier.

Le aspettative non sono state disilluse. Ma non è stata la serie che tutti, nel bene e nel male, si aspettavano. L’azione ha lasciato il posto al percorso di redenzione che Loki compie; le scene Marvel tanto famose a base di esplosioni e combattimenti sono state sostituite da un’estetica cupa e orwelliana. L’approfondimento dei personaggi e il loro percorso psicologico è al centro del viaggio dei due protagonisti che li porta in pianeti diversi, in epoche diverse, a confrontarsi con persone spesso molto simili a loro.

Maid

Approdata ad inizio ottobre su Netflix, Maid è una delle serie più chiacchierate di questa stagione seriale assieme a Squid Game. Con Margaret Qualley, Maid è la storia di Alex, una giovane donna che vive in una relazione tossica con il compagno Sean. Dall’esterno sembrano una coppia ben assortita ed unita dal profondo amore per la figlia Maddy, ma quando sono soli e Sean beve, le cose cambiano drasticamente. Spaventata dagli scatti di rabbia e gelosia del ragazzo, Alex scappa con sua figlia e trova rifugio in un centro antiviolenza. Per poter dimostrare di garantire una vita piena a Maddy, Alex accetta il lavoro come maid, che la porterà nelle vite di clienti difficili, alcune volte dai tratti inquietanti, ma tutti l’aiuteranno a comprendere maggiormente se stessa e a costruirsi la vita che sa di meritare.

Maid è una serie da vedere perché tratta la violenza domestica in modo diverso, portando alla luce delle dinamiche di potere e controllo dove gli abusi emotivi e psicologici la fanno da padrone. La showrunner Molly Smith Metzler è abile nel trattarla alla stregua della violenza fisica, dando la giusta importanza ad un fenomeno troppo frequente, ma, al tempo stesso, di cui se ne parla ancora troppo poco.

Midnight Mass

Un incastro tra horror, gotico e il collasso di una piccola cittadina è l’ottima combinazione della miniserie nata dalla prolifica unione tra Netflix e Mike Flanagan. Dopo le due stagioni di The Haunting, Flanagan torna ad utilizzare il linguaggio tipico dell’horror classico con protagonista una delle creature più famose della cultura gotica per smuovere una critica sociale. Lo fa portandoci su un’isola semi disabitata dove il cristianesimo e la pesca sono gli unici due motori che la tengono in vita. La chiesa e il porto sono gli unici due luoghi che non appaiono abbandonati, in cui la prima fa da teatro a tutti gli eventi miracolosi e lugubri che ne seguono.

Già dalla prima sequenza, Flanagan dimostra ancora una volta di non aver paura di osare e di sperimentare con la regia, accompagnata ad una fotografia d’impatto che fanno da cornice ad una narrazione ben strutturata. La critica maggiore che è stata mossa alla serie è relativa ai lunghi dialoghi impregnati di teologia, in cui si spazia da discorsi sulla morte, sulla redenzione e il pentimento. Dialoghi che, però, non sono fini a se stessi, ma anzi vanno a tessere proprio il lato più profondo di Midnight Mass che ne è la vera bellezza.

Omicidio a Easttown

Basterebbe citare la magistrale prova attoriale di Kate Winslet per far rientrare Omicidio a Easttown tra le serie più belle di questo 2021. Easttown è una piccola città in Pennsylvania che fa da sfondo alla tragica scomparsa di una ragazza e a un omicidio. La detective Mare Sheehan (Kate Winslet) sta indagando sulla scomparsa di Catie, oramai avvenuta da un anno, e sull’omicidio di Erin, una giovane ragazza madre ritrovata senza vita nel fiume. La miniserie di HBO è un thriller vecchio stampo: si analizzano gli indizi, si seguono fino ad arrivare ad un probabile colpevole. Nel momento in cui si crede che la storia sia conclusa, salta fuori un alibi che fa ricominciare tutto da capo.

Ma a rendere Omicidio a Easttown una serie da recuperare è proprio Mare. Scontrosa, reprime tutte le emozioni dietro ad una maschera grezza e ruvida che Winslet riesce ad indossare e a tenere per tutte le puntate. Ad intrecciarsi con il suo lavoro e a tenere alto il tenore della narrazione sono, ancora una volta come i più classici delle storie di detective, le sue relazioni familiari disastrose ed alcune che cerca di recuperare. Ma soprattutto un passato che l’ha segnata più di quanto vorrebbe ammettere.

Scene da un matrimonio

Il remake della famosa serie svedese di Ingmar Bergman ha attirato fin da subito l’attenzione su di sé per diversi motivi. Dietro al progetto c’è il nome di Hagai Levi, un regista noto nel mondo seriale per i suoi lavori (tra cui In treatment) e che faceva già ben sperare per la buona riuscita del remake del capolavoro di uno dei maestri indiscussi del cinema. La scintilla è stata alimentata ancora di più quando sono stati annunciati che ad interpretare i ruoli della coppia protagonista sarebbero stati Jessica Chastain e Oscar Isaac. Dopo la presentazione alla 78esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, la critica era entusiasta. Scene da un matrimonio è una rilettura delle relazioni di oggi. Il dramma umano che Mira e Jonathan vivono è universale e applicabile ad oggi come nel 1973, l’anno in cui Bergman ne ha scritto la sceneggiatura. Ma Levi teletrasporta tutte le peculiarità della serie originale nel 2021.

Si parla di monogamia, relazioni aperte, di sessualità e della propria identità. Ma al centro della narrazione c’è la loro relazione, i loro sbagli e il loro cercare di andare avanti quando l’allontanamento rimane l’unica soluzione. Il regista mette in scena la loro storia d’amore lasciando invariate le dinamiche teatrali tipiche dello scritto originale. Le tecniche registiche usate miscelano sapientemente il linguaggio cinematografico con quello teatrale e affidano molto del lavoro di supporto della sceneggiatura ai due attori. Isaac e Chastain non deludono le aspettative e riescono a ricreare una storia d’amore intensa e meravigliosa.

Squid Game

Il veloce successo che ha colpito la serie coreana firmata Netflix è del tutto giustificato. L’incipit è tra i più diffusi all’interno del sottogenere – molto conosciuto e amato in Asia – del survival game. La serie segue la discesa di Seong Gi-hun, un uomo disoccupato, divorziato e che vive con la madre alla quale ruba i soldi per poter andare a scommettere. Indebitato fino al collo e abbastanza egoista da pensare prima alle corse dei cavalli che ad organizzare un bel compleanno alla figlia, Gi-hun si ritrova invischiato in un gioco a massacro. Ad attirare lui e tutti gli altri partecipanti è il ricco montepremi finale. Squid Game conquista fin dalla prima puntata grazie ai suoi colori patinati e brillanti, allo splatter mai gratuito e alle diverse chiavi di lettura che offre.

La fama che ha colpito la serie è riconducibile a diversi fattori. Il più immediato, però, è la critica sociale che offre. La serie è ambientata in Corea del Sud dove il debito familiare è a livelli altissimi e il confine con la Corea del Nord non è da sottovalutare. Ma la critica alla mancata distribuzione delle ricchezze, alla società che ignora chi ha più bisogno d’aiuto sono temi comprensibili a tutti. I giochi tipici coreani, la regia curata e i drammi umani sono i motivi per cui Squid Game entra di diritto tra le serie migliori uscite quest’anno.

Sweet Tooth

Un’altra serie con protagonista un bambino che fugge dalle conseguenze di un’epidemia che ha decimato la popolazione. Un’altra storia di formazione e di crescita che segue gli stilemi del genere fantasy. Sweet Tooth ha parecchi accordi in comune con la già citata Anna. E come la serie di Ammaniti, la serie Netflix riutilizza degli elementi blasonati plasmandoli a suo favore, senza cadere in cliché. Tratto dall’omonimo fumetto della DC e prodotto da Robert Downey Jr. E da sua moglie Susan Levin, Sweet Tooth è una fiaba con i suoi lati oscuri ed alcuni decisamente più dolci. Un virus ha sterminato gran parte della popolazione mondiale, gettando i sopravvissuti nel caos più totale.

Parallelamente, il virus ha avuto anche un altro curioso effetto: alcuni bambini nascono con delle parti anatomiche ibride, una miscela di tratti umani ed animali. È il caso di Gus, un bambino con le corna e le orecchie da cervo. Chi nasce con tali condizioni viene braccato. Per questo il padre di Gus lo ha fatto crescere nel bel mezzo del bosco. Isolato dal mondo esterno, ma al sicuro. Il viaggio di Gus in un mondo che non ha mai visto e che non lo vuole è un escamotage perfetto per mostrarci una società senza morale né valori. Ma tratteggiata anche da momenti dolci e divertenti che fanno di Sweet Tooth una moderna fiaba.

Ted Lasso

Dopo il successo dei primi episodi, Ted Lasso torna con una seconda stagione che non delude le alte aspettative create dal successo ricevuto. A riprova ci sono i premi che ha ricevuto agli Emmy Awards di quest’anno: da Jason Sudeikis come attore protagonista in una comedy, a Brett Goldstein come attore non protagonista, fino ad Hannah Waddingham come attrice non protagonista e per la miglior serie comedy. Nella prima stagione Ted si era improvvisato un allenatore di calcio dopo che la proprietaria del Richmond lo aveva ingaggiato. Rebecca sa benissimo che Ted non ha le qualifiche necessarie, ma vuole far fallire la squadra per vendicarsi del marito, scappato con un’altra ragazza più giovane di lei. Eppure Ted riesce benissimo nel suo ruolo, grazie alla sua gentilezza e al carattere ben lontano da quello degli allenatori rivali che si basa su arroganza e voglia di vincere a qualsiasi costo.

Ted Lasso continua ad insegnare l’importanza della sconfitta, che spesso arricchisce molto più delle vittorie. In questa seconda stagione viene dato più spazio all’importanza della salute mentale e al prendersene cura, senza paure e liberandoci dei giudizi che sono ancora consolidati. Il punto forte della serie sono proprio gli stereotipi che vengono utilizzati in abbondanza. Molti dei personaggi sono macchiette, caratteri tipici del famoso mondo calcistico che vengono ribaltati e rivoluzionati completamente.

Them: Covenant

Tra il 1916 e il 1970 sei milioni di afroamericani si spostarono dall’America del Sud verso gli stati del Nord, dell’Ovest e del Middwest. Questo fenomeno, chiamato Grande migrazione, ha diverse radici: il razzismo dilagante negli stati del Sud, ma anche il desiderio di inseguire il cosiddetto sogno americano con la prospettiva di un lavoro nelle città industriali più avanzate. Questi sono i medesimi motivi che spingono la famiglia Emory a trasferirsi in un grazioso quartiere a Los Angeles. Un quartiere fatto di case color pastello, giardini curati e abitanti esclusivamente bianchi appartenenti alla classe borghese. La prima stagione della serie antologica Covenant gioca con l’horror su più piani: sfrutta elementi sovrannaturali grazie alle presenze ostili che abitano nella loro nuova casa e che seguono la famiglia ovunque, sia a scuola che nel luogo di lavoro.

Ma il vero terrore che si prova vedendo Them è per il realismo, per gli atti crudeli e crudi che gli Emory devono sopportare. Gli abitanti di Compton non accettano che nel loro quartiere viva una famiglia nera e fanno di tutto pur di cacciarli via. L’orrore diventa il veicolo perfetto per smuovere una critica sociale nei confronti del razzismo e degli atti discriminatori che, ancora tutt’oggi, accadono di frequente.

The Underground Railroad

Altra serie di Amazon, altra serie che ha la medesima matrice di Them. The Underground Railroad è la storia di Cora e del suo tentativo di scappare dalla piantagione dove è schiava attraverso una ferrovia sotterranea. Costruita come via di fuga per gli afrodiscendenti che tentano di trovare una vita migliore nel Nord America, dove le leggi contro l’abrogazione della schiavitù sono state accettate. E dove i cacciatori di taglie non hanno giurisdizione. Perché ad inseguire Cora è proprio uno di loro. Ridgeway vuole a tutti i costi riportare Cora nella piantagione, soprattutto quando scopre che la madre di Cora è l’unica schiava che gli sia mai sfuggita.

Dietro al progetto ci sono due grandi nomi. Lo scrittore Colson Whitehead e Barry Jenkins. Whitehead è l’autore dell’omonimo romanzo con la quale ha vinto il premio Pulitzer. Il regista Barry Jenkins, che ha vinto l’Oscar nel 2017 per Moonlight, è colui che ne ha curato l’adattamento. Un progetto che è nato nel 2016 e che ha portato Jenkins a ripensare e curare ogni minimo dettaglio della serie. L’aspetto visivo è notevole ed accompagna una storia violenta. Una narrazione che si prende tutto il suo tempo per essere raccontata.

WandaVision

Dopo Avengers: Endgame, l’universo Marvel entra nella Fase 4 con delle aspettative altissime. Come ogni nuovo inizio, soprattutto se si parla di un colosso a livello narrativo come la Marvel, la preoccupazione c’era. Con la notizia che Disney Plus avrebbe prodotto anche serie tv dedicate agli eroi e le eroine tanto conosciuti, la paura di un buco nell’acqua era dietro l’angolo. Preoccupazioni che sono svanite con WandaVision. La prima miniserie Marvel si concentra su due dei personaggi meno approfonditi dai film. Poco dopo la sconfitta di Thanos, i due novelli sposi si trasferiscono a Westview, nascondendo i loro poteri per poter vivere una vita normale.

WandaVision conquista fin da subito grazie ad un taglio da sitcom, uno stile insolito per la Marvel. Ogni puntata è dedicata ad un decennio in particolare, la cui cultura pop e i riferimenti televisivi influenzano la trama e lo stile visivo. A rendere così ben riuscita la serie è però l’attenzione dedicata all’aspetto psicologico dei protagonisti. A Wanda in particolar modo. Il lutto e il processo mentale che ne deriva sono i due temi portanti. Sapientemente celati da easter egg, una scenografia ben curata e la prova attorale di Elizabeth Olsen e Paul Bettany che rendono giustizia ai rispettivi characters.

 

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